Il valore della consulenza per l’impresa

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La pratica quotidiana è differente dalla mera teoria. Spesso il cliente ricorre alla consulenza quando “la nave è in procinto di affondare”, se non affondata già del tutto. Il cliente chiama quando ha già perso quote di mercato, perché ha commesso un errore fatale o quando ha già speso almeno due volte il budget previsto per un’operazione, magari in preda a millantatori detentori di qualche segreto. Il progetto confezionabile secondo teoria arriva sempre successivamente, quando il cliente conosce il valore della consulenza, quando oramai sa che, se avesse chiamato prima, avrebbe salvato la nave oppure un “mare” di soldi.

La responsabilità è proprio dei consulenti, di quelli che guardano ai propri clienti come “vacche da mungere”. Per questa ragione, propongo una definizione di consulenza prendendo in prestito, dal mondo della comunicazione, la parola “integrata”. Niente che non si conosca già, almeno in teoria, ma che pochissimi applicano nella pratica.

Consulenza integrata è la prestazione professionale di una persona o di un gruppo di persone che, disponendo di un know-how consolidato in una o più materie, assiste e guida il cliente nello svolgimento di particolari compiti atti a perseguire uno specifico obiettivo.

Viene in aiuto l’articolo di Giuseppe Monti il quale sostiene che “l’intervento della consulenza deve essere sempre orientato ai risultati e la consulenza deve essere sempre responsabilizzata per i risultati”.

Il cliente deve, quindi, essere in grado di misurare e/o verificare i risultati della consulenza e pagare sulla base di questi. Il consulente, d’altra parte deve offrire al cliente strumenti concreti per la valutazione della prestazione in termini di tempi, rispetto del budget, rispetto della qualità concordata e ritorno sull’investimento. Inoltre il consulente dovrebbe, almeno in parte, condividere la responsabilità dei risultati.

In che modo, il consulente, porta valore al cliente? Perché un’impresa dovrebbe scegliere l’intervento di un terzo esterno all’organizzazione piuttosto che ridefinire il ruolo di una risorsa interna?

  1. Il consulente è un terzo esterno all’organizzazione e, quindi, generalmente apporta nuovo know-how. È sicuramente più aggiornato rispetto ad una risorsa interna e, non meno importante, è meno coinvolto, più obiettivo e potrebbe offrire nuovi punti di vista;
  2. Il consulente vive di formazione continua, impara sul campo, progetto dopo progetto, e si tiene costantemente aggiornato;
  3. Il consulente porta nuove conoscenze ed aiuta ad estendere il network;
  4. Il consulente motiva le risorse interne all’azienda, stimola il loro aggiornamento professionale, consolida visione ed obiettivi favorendo la crescita;
  5. Ultimo e più importante punto fermo è l’effetto psicologico che il consulente gioca sull’impresa. È pur vero che il consulente, spesso, offre informazioni che, almeno da un punto di vista istintuale, la proprietà già conosce, ma l’organizzare risorse, il disporre obiettivi ed il monitorare attività, rendono l’impresa più dinamica, proattiva e “disposta” a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Un noto esperto di marketing sostiene che “le aziende hanno bisogno di meno consulenti e di più persone che ottengono risultati”. Niente è più vero di quest’affermazione. Il consulente non deve limitarsi a consegnare un documento incomprensibile nelle mani dell’impresa, ma deve seguire l’implementazione di qualsivoglia progetto fino al raggiungimento degli obiettivi. Deve assumersi il ruolo di supervisore e di responsabile e condividere le responsabilità con l’impresa.

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